Il
consenso informato in ortopedia
Intervento del 21 gennaio 2011 dell'Avv.
Dario De Landro al V
master biennale organizzato dalla A.Gi.Sa. sulla Responsabilità Medica
presso la Suprema Corte di Cassazione di Roma.
Nel porgere i miei saluti a tutti i presenti,
esordisco con la solita precisazione che sono solito fare nei miei
interventi a questo master.
Come avete sentito dall’introduzione al mio intervento della Dott.ssa
CHILLA’ sono un Avvocato civilista, quindi, il taglio delle osservazioni che
andrò fra breve a proporre non sarà quello dottrinario, bensì quello da
operatore della giustizia, secondo l’ottica dell’Avvocato e, quindi, saranno
osservazioni di taglio pratico.
Lungi anche dal tecnicismo che può avere il medico ortopedico, in merito a
cui non sono ovviamente assolutamente titolato, mi limiterò quindi a
renderVi partecipi del mio piccolo osservatorio, che è quello, come dicevo,
di procuratore delle parti (talvolta i presunti danneggiati talvolta i
medici o strutture mediche evocati in giudizio).
Esamineremo quindi la giurisprudenza al riguardo del consenso informato, con
un occhio più attento, qui, per l’ortopedia.
Faremo quindi un breve excursus che ci porterà a comprendere come si
atteggiano le decisioni dei Tribunali civili in tema di consenso informato
specifico, per trarne poi le opportune conseguenze.
C’è ulteriormente, ancora una volta, da notare che la materia del consenso è
indubbiamente arida e i medici vorrebbero sempre intrattenersi d’altro.
Credo comunque che il detto taglio pratico della discussione potrà catturare
un po’ di attenzione, pur nel contesto, della pedanteria dell’argomento.
Voglio cominciare allora col commento di una sentenza di merito che ho
ottenuto proprio io dal Tribunale di Roma, 21917/10 sezione 13° G.U. PORZIA,
pochi giorni orsono, che si richiama ad altra, sempre recente, della
Cassazione.
Dice il Tribunale di Roma : “ la responsabilità professionale del medico –
ove pure egli si limiti alla diagnosi ed all’illustrazione al paziente delle
conseguenze della terapia o dell’intervento che ritenga di dover compiere,
allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato – ha natura
contrattuale e non precontrattuale.
Ne consegue che, a fronte dell’allegazione, da parte del paziente,
dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico gravato
dell’onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione ( e ciò questi
già era stato affermato Cass. sez. III 9/2/2010 n. 2847, che è la sentenza
a qua che vi dicevo). Di tal guisa il medico viene meno
all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente
non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura cui
dovrà sottoporsi, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma
anche quando ritenga di sottoporre (come verificatosi nella specie) al
paziente, perché lo sottoscriva, un modulo generico, dal quale non sia
possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo
esaustivo le suddette informazioni (Cass. sez. III 8 ottobre 2008, n.
24791).
La responsabilità del medico per violazione dell’obbligo contrattuale di
porre i paziente nella condizione di esprimere un valido ed effettivo
consenso informato è , altresì, ravvisabile sia quando le informazioni siano
assenti od insufficienti sia quando vengano fornite assicurazioni errate in
ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento
chirurgico necessariamente da eseguire, estendendosi l’inadempimento
contrattuale anche alle informazioni non veritiere (Cass. sez. III 28
novembre 2007 n. 24742).
Il consenso informato, inoltre, non deve limitarsi ad una elencazione di
possibili complicanze, ma da un lato deve spiegarne il significato e
dall’altro deve indicare se le stesse siano più o meno probabili in
relazione alle concrete condizioni fisiche del paziente.
Si tratta, quindi, non di fornire informazioni che potrebbero essere tratte
da una pagina di un qualsiasi testo, ma di spiegare al paziente, in
relazione alle sue concrete condizioni ed alle caratteristiche della sua
patologia, il tipo di intervento, i possibili effetti positivi e negativi, i
possibili rischi determinati non solo sulla base della generica ricorrenza
statistica, ma adattati alle sue concrete condizioni fisiche, il tutto
spiegato con termini chiari che consentano al paziente di capire, e nel caso
che sia redatto un modulo scritto, che consentano al giudicante di
ricostruire se quanto prospettato era effettivamente l’intervento di poi
eseguito”.
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Orbene oltre ogni altro aspetto, che non vi sarà mancato di rilevare v’è
quindi da porre l’accento sull’estensione anche al consenso della
responsabilità contrattuale e non semplicemente precontrattuale e, quindi,
v’è in pratica anche per il consenso informato, quell’inversione dell’onere
della prova sull’esatto adempimento sancito a partire dalla sentenza della
Cassazione 13533/2001. In pratica, sull’eccezione di un consenso viziato,
sarà il medico a dovere giustificare il suo esatto adempimento.
La sentenza del Tribunale di Roma in particolare deduce che: “trattandosi,
in quel caso, di un paziente non in imminente rischio di vita occorre, però,
che il paziente riceva tutte le informazioni necessarie a valutare se la sua
condizione è tale da rendere accettabili i rischi connessi all’intervento”.
Sotto questo aspetto, (continua la sentenza) “il modulo per il consenso
informato presente nella cartella clinica risulta (cioè lì risultava) privo
di elementi che possano far ritenere che lo stesso sia stato rilasciato dal
paziente sulla base di concrete e specifiche informazioni”.
Il Giudice così continua: “al di là del fatto che nel documento non è
indicato precisamente a quale specifico intervento il paziente sarebbe stato
sottoposto, intervento che comunque non viene esaustivamente descritto –
essendo indicato solo che si trattava di un intervento di ortopedia per
riparazione di frattura sia pure se ad uno specifico distretto -, lo stesso
appare vago ed avulso da sufficienti informazioni e si risolve in una
attestazione da parte del paziente sulla qualità ed esaustività delle
informazioni fornite in relazione a ciascun aspetto, attestazione che
presupporrebbe nel paziente un livello di conoscenze mediche, in relazione
alla sua specifica patologia, pari o superiore a quelle possedute dal
chirurgo che lo avrebbe operato, solo in questo modo potendo ritenersi
possibile che lo stesso potesse valutare se l’intervento proposto era la
migliore soluzione per la sua patologia, se i rischi che gli erano stati
esposti fossero tutti quelli realmente ipotizzabili anche in relazione alla
metodica da utilizzare, ed in relazione alle sue concrete condizioni fisiche
e così via.
Non sono state, poi, prosegue la sentenza, prospettate possibili alternative
all’intervento – peraltro esistenti, almeno nel breve periodo, come indicato
anche dai consulenti tecnici d’ufficio – che il paziente potesse valutare né
sono esaustivamente indicate le complicazioni o i possibili rischi generici
o specifici, vale a dire quelli che potevano essere concretamente connessi
alle sue condizioni fisiche, alle patologie di cui era portatore ed alla
età.
In altre parole il consenso avrebbe dovuto presupporre che il paziente fosse
in grado di esaminare da solo la situazione. E ciò per avere, ripetesi, una
competenza professionale uguale se non maggiore di quella posseduta dalla
equipe medica, potendo solo in quel caso assurgere a concreta valenza.
Non è indicato quanto doveva essere detto e se quanto detto corrispondeva
alla migliore scienza medica del momento.
Nel caso di specie il modulo presente nella cartella non aveva queste
caratteristiche ed è stato, pertanto, affermato che l’intervento è stato
eseguito senza aver raccolto il consenso informato del paziente”.
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Cioè si giunge ad affermare l’assenza del consenso.
La sentenza continua, in altro suo passo, a porre in evidenza la
responsabilità anche della struttura ove opera il sanitario redigente il
consenso inadeguato.
Dice il Giudice che fa capo alla casa di cura ed al suo direttore sanitario
il dovere di controllo non solo della cartella clinica, ma anche della
completezza del consenso informato.
Donde la responsabilità solidale dell’Ente anche per questo.
Nella successiva declaratoria di condanna dei clinici e della struttura v’è
quindi indicata la causa, ripetesi, come da inadempimento contrattuale.
E quest’ultimo con specifico riferimento anche al vizio del consenso
informato, anzi, come abbiamo visto, alla ritenuta assenza di detto.
Vi voglio infine segnalare le seguenti due (2) decisioni della Cassazione,
in un caso, delle Sezioni Unite:
SANITA' E SANITARI
Responsabilità professionale
In tema di responsabilità professionale del medico-chirurgo, la difettosa
tenuta della cartella clinica (e ciò può valere anche per il consenso)
naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra
la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la
morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma
consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui
la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa
parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato,
nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova
ed al rilievo che assume a tal fine la "vicinanza alla prova", e cioè la
effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla.
Cass. civ., Sez. III, 21/07/2003, n. 11316
PARTI IN CAUSA
Scoppa e altri C. Gargiulo
FONTE
Mass. Giur. It., 2003
Arch. Civ., 2004, 681
Gius, 2004, 2, 243
Ragiusan, 2004, 239/240, 616
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 2236
CC Art. 2697
CC Art. 2727
GIURISPRUDENZA CORRELATA
Conformi
Cass. civ. Sez. III, 27/04/2010, n. 10060
Cass. civ. Sez. III, 26/01/2010, n. 1538
Vedi
Cass. civ. Sez. III, 18/09/2009, n. 20101
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/01/2008, n. 582
La differenza tra penale e civile è ovvia.
Quindi i vizi del consenso possono, ovviamente assieme ad altri elementi che
devono sussistere, portare ad un convincimento del Giudicante che il nesso
causale tra l’intervento eseguito ed un maggiore danno allegato dal paziente
sia sussistente.
Un consenso più completo e partecipato potrebbe, in certi casi certo,
condurre al convincimento opposto.
D’altronde già addirittura dalla fine degli anni sessanta la Corte di
Cassazione civile aveva sancito che il consenso informato è il presupposto
di legittimità dell’atto medico.
E che tale obbligo informativo trae fondamento dalla Costituzione.
La sensibilità e l’attenzione della giurisprudenza al riguardo è stata poi
via via sempre più puntuale.
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Orbene le classifiche delle specializzazioni più esposte a contenziosi per
la responsabilità medica mettono ai primi posti se non al primo posto
l’ortopedia seguita da ginecologia e chirurgia generale.
Il chirurgo ortopedico è stato classificato come un medico ad alta
specializzazione, ma con oneri di comunicazione altrettanto elevati per la
elevata capacità comunicativa con colleghi e pazienti in sala operatoria. Ma
deve avere poi la stessa abilità comunicativa e di ascolto anche fuori da
questo contesto altrimenti si espone a cause medico legali che vedono la
loro causa principale o una della cause principali, nel difetto, di
comunicazione all’esterno. Non è più il tempo, quindi, se mai vi fosse stato
del medico e quindi dell’ortopedico ermetico.
L’interazione medico – paziente rappresenta un momento cruciale per la
salute del paziente e capace di modificarne il grado di soddisfazione. Di
modificare anche l’aderenza alle raccomandazioni sanitarie.
Col rischio di malpractice.
E’ chiaro che tutti i tentativi orientati a migliorare l’aspetto
comunicazionale e di ascolto assumono una notevole rilevanza.
L’ortopedico ottiene routinariamente il consenso informato del paziente
prima di ogni atto chirurgico.
Questa procedura richiede una discussione preliminare delle opzioni
terapeutiche, dei rischi e un’appropriata documentazione fornita al paziente
per permettergli una comprensione reale e consapevole in cui sussiste un
effettivo recepimento da parte dell’assistito del significato e della
completezza delle informazioni ricevute.
Oltre alla capacità di comunicazione è importante il modo in cui si ottiene
il consenso.
Come documentato da studi, l’acquisizione del consenso solo poco tempo prima
dell’operazione è correlato ad un aumento significativo del rischio di
vertenze medico – legali rispetto al consenso ottenuto in uno studio
ortopedico in tempo ben anticipato rispetto all’intervento.
Molto spesso, poi, il consenso informato è prestampato su moduli e ciò può
indurre a far ritenere tale procedura come una prassi meramente burocratica.
Proprio questa consuetudine ha finito per determinare la maggior parte delle
cause sulla responsabilità del sanitario per l’omesso, inidoneo o incompleto
consenso informato.
Sempre la giurisprudenza ritiene, infatti, che il consenso deve essere
frutto di un rapporto reale e non solo apparente tra medico e paziente, in
cui il sanitario è tenuto a raccogliere un’adesione, effettiva e
partecipata e non solo cartacea, all’intervento.
Il consenso informato d’altronde è pur sempre la condizione per trasformare
un atto normalmente illecito (la violazione dell’integrità psicofisica) in
un atto lecito.
Ciò posto è indubbio che fac-simili di vari interventi ci possono pure
essere, ma che debbano essere adattati al caso specifico, con
implementazioni, anche per eventuali concomitanti altre patologie,
caratteristiche o emergenze particolari o quant’altro.
Vanno inoltre, a mio parere, implementati con domande sollecitate al
paziente e trascritte in uno alle risposte.
Quanto da ultimo e cioè il dialogo e non il monologo potranno essere
ritenuti indicativi di quella effettiva partecipazione del paziente di cui
si diceva prima.
Poiché, poi, spesso nelle sentenze, come pure si diceva, v’è la conclusione
che il consenso non sia stato ben recepito dal paziente, sempre a mio
avviso, vale la pena di far partecipare al dialogo col paziente stesso altro
personale, medico o paramedico che sottoscriva anch’egli il documento e che
potrà essere pure buon testimone del grado di comunicazione che v’è stato
col paziente.
L’ortopedico, come tutti i medici, ha insomma l'obbligo di informare
compiutamente e con chiarezza il paziente delle caratteristiche dell'opera
che deve compiere, al fine di porlo in grado di decidere se sottoporsi o
meno al trattamento proposto.
E' sempre più sentita, s’è detto, la necessità che vi sia il consenso del
paziente per trattamenti e terapie (anche semplici cure farmacologiche) che
possano recare un qualche danno magari collaterale all'integrità fisica e
che non possano essere risolutivi nel senso di non far residuare alcun
postumo quale danno indipendentemente dal patologico, maggior danno.
Peraltro l’assenza di questa conseguenza sappiamo che è, invece, quasi
sempre impossibile e ciò va spiegato con chiarezza e senza infingimenti.
La mancata assunzione del consenso può dar luogo ad un'autonoma fonte di
responsabilità per il professionista, pur in presenza di un intervento
svolto in maniera corretta e diligente e la compilazione di un valido
consenso tutela in primo luogo gli interessi dello stesso medico.
E’ per tali ragioni che il consenso, come si diceva, dovrà essere adattato
all'attività concretamente svolta dal medico ed alle caratteristiche del
singolo paziente.
Il consenso informato, entrando a far parte della documentazione clinica, in
caso di contestazioni relative al corretto svolgimento della prestazione
compiuta, costituisce, s’è detto, un elemento di valutazione della
sussistenza o meno della responsabilità professionale del medico.
In concreto un documento di consenso deve anzitutto necessariamente
contenere le generalità (dati anagrafici) del paziente.
Di poi:
Patologia accertata: deve essere descritta con chiarezza la malattia del
paziente. Qualora la patologia non fosse ancora stata accertata occorre
specificare quali siano i sintomi accusati ed il motivo per cui si rende
necessario/opportuno procedere a trattamento chirurgico ortopedico.
Bisognerà decidere il trattamento chirurgico che verrà effettuato: indicando
il tipo di intervento che si ritiene necessario/opportuno eseguire,
chiarendo le motivazioni che inducono a preferirlo rispetto ad altri. Va poi
specificata l'effettiva portata dell'intervento, le difficoltà ad esso
legate, le possibilità e le probabilità dei risultati conseguibili (in
particolare se possa essere risolutivo o meno), i prevedibili vantaggi ed i
rischi connessi e comunque i postumi secondari alle buone cure.
Le alternative terapeutiche in relazione alla patologia o ai sintomi
accusati: per ognuna di queste vanno chiariti i rischi e gli effetti
sfavorevoli (in sostanza va spiegato il motivo per cui si è deciso di non
scegliere tali tipi di trattamento).
Le terapie da effettuare prima del trattamento chirurgico: vanno descritte
le cure (anche farmacologiche) a cui il paziente dovrà sottoporsi prima
dell'intervento, indicandone i benefici e gli effetti indesiderati. Vanno
specificati gli eventuali accorgimenti da adottare in attesa
dell'intervento.
Gli eventuali interventi di altro tipo che potrebbero rendersi necessari od
opportuni nel corso dell'intervento prestabilito.
Le complicanze: vanno indicate le complicanze che si possono manifestare
durante l'intervento, specificando se possibili o probabili in relazione
alla patologia ed al singolo paziente. Si deve inoltre descrivere nel
dettaglio gli interventi che sarà necessario eseguire, come si diceva, in
caso di complicazioni, elencandone i rischi.
Gli effetti indesiderati che possono manifestarsi dopo il trattamento
chirurgico: complicanze postoperatorie, sintomatologia dolorosa successiva
agli effetti visibili sul segmento corporeo operato.
Il trattamento da effettuare dopo l'intervento chirurgico: il tipo di
riabilitazione ed il trattamento farmacologico; gli accorgimenti che si
dovranno adottare.
Il paziente dovrà dichiarare:
-Di essere pienamente cosciente.
-Di avere letto attentamente il documento.
-Di avere ricevuto dal medico proponente (identificato nel modulo) le
spiegazioni richieste per la piena comprensione.
-Di averne pertanto compreso interamente il contenuto.
-Di autorizzare l'equipe sanitaria ad effettuare il trattamento
sopradescritto.
-Di autorizzare fin da ora gli eventuali interventi alternativi previsti.
• Firma del Medico
• Firma del paziente e firma del teste
• Data
Nel caso di impedimento fisico che renda impossibile la sottoscrizione da
parte del paziente, il testimone dovrà dichiarare, sotto la sua
responsabilità, che il paziente ha prestato il consenso al trattamento.
Nel caso di pazienti minori d'età o in stato di incapacità legale
(interdetto o inabilitato), salvo la ricorrenza dello stato di necessità, il
consenso dovrà essere prestato dal genitore esercente la potestà o
dall'Autorità Tutoria.
Nel caso in cui il paziente si trovi in stato di momentanea incoscienza e
fuori dai casi di ricorrenza dello stato di necessità, il medico dovrà
attendere che egli riprenda conoscenza per chiedere il consenso al
trattamento. Non risulta corretto chiedere il consenso ai familiari, in
quanto si tratta di un atto del tutto personale.
Ma queste sono tutte cose che sapete meglio di me.
Come affermato in precedenza, i requisiti di validità del consenso escludono
la possibilità di avere un modulo "unico" adeguato a tutti i casi ed a tutti
i tipi di intervento.
Qualche schema base di consenso è prospettato dal dr. CANERO , ma ho detto
sulla necessità di personalizzazione.
A finire del mio intervento solleciterei una discussione col Dr. CANERO sul
consenso almeno per i tipi di intervento più seri a cui sarò lieto di
partecipare.
Piuttosto concluderei il mio intervento col segnalare prevalentemente all’uditorato
dei medici la seguente notazione.
Come è nota è ormai imminente l’avvento della cosiddetta media
conciliazione.
L’obbligo, vale a dire, di esperire, prima delle liti giudiziarie un
tentativo di definire la controversia dinanzi ad organismi di conciliazione,
abilitati.
La responsabilità professionale non esulerà da tal obbligatorietà.
A parte il problema dei costi per le parti che ciò comporterà, perché il
ricorso agli organismi di conciliazione sarà tutt’altro che gratuito,
l’obbligatorietà della media conciliazione è probabilmente velleitaria in
materia di responsabilità professionale dove le questioni da approfondire
non sono di poco conto.
Ciò se parliamo di an debeatur cioè se sussiste o meno un diritto
risarcitorio.
Quando però v’è un vizio del consenso molto palese, lo scenario potrebbe
cambiare e una transazione potrebbe essere valutata.
Poi c’è il problema delle assicurazioni.
Se queste accetteranno, in tali casi, una trattativa o meno.
Ma questo è un altro discorso.
Se però non ci sarà, neppure in questi casi, la conciliazione, sempre nella
ipotesi di soli vizi del consenso, potranno verificarsi (come già si stanno
verificando senza la previa procedura conciliativa) casi di ricorso alla
procedura di domanda giudiziaria semplificata e accelerata ex art. 702 del
c.p.c.
Questa procedura, in vigore dal 4/7/2009 è sorta con l’intento di
deflazionare il contenzioso rendendolo più celere, in quei casi in cui la
causa non necessiti di soluzioni di questioni complesse.
In pratica quanto si tratti di decidere più di quantum che di an
debeatur.
Ed allora dinanzi appunto ad un consenso come ho detto evidentemente
viziato, palesemente insufficiente, dovendosi decidere solo dell’ammontare
del risarcimento, il procedimento veloce potrebbe essere utilizzato.
Il Giudice dovrà decidere a quel punto se mantenere il rito semplificato o
se disporre la conversione in rito ordinario e l'elemento dirimente sarà
se la controversia è semplice, cioè :
• che non presenta una pluralità di questioni da risolvere;
• che non richiede accertamenti complessi;
• che non necessita di attività di lunga indagine o di numerose attività.
Orbene, non v’è dubbio che se la questione riguardasse solo il consenso e
fosse già prima facie evidente l’inesistenza od incompletezza
dello stesso , il mantenimento della procedura semplificata sarebbe molto
probabile. In merito, poi, alla CTU, s’è sostenuto che l'ausiliario, nei
procedimenti con istruzione sommaria, preferibilmente debba riferire
oralmente le sue conclusioni e che l'incarico possa essere dato senza
formulazione dei quesiti per esser coerente alla speditezza del rito.
L'esigenza di disporre una CTU non esclude a priori , difatti, la
possibilità di ricorrere al procedimento semplificato quando l'oggetto del
contendere riguardi, come dicevo, solo il quantum.
In materia di responsabilità professionale, la consulenza è in genere non
solo deducente (cioè illustrativa), ma anche percipiente (esplicativa e
conclusiva), con la necessità di un contraddittorio medico-legale il più
complesso ipotizzabile, non calzante al principio ispiratore della novella
istitutiva del procedimento semplificato, allorquando si debba decidere
anche sull’an debeatur.
Ma se la contestazione è solo sul consenso non è questo il caso.
Il professionista si troverebbe così costretto a difendersi celermente,
senza forse il tempo necessario, senza possibilità di ripensamenti ed
approfondimenti, che, invece, nel giudizio non accelerato ha, a cominciare
dalle note interinali ex art. 183 c.p.c, che sono ben tre, con una prima
nota per formulare prospettazioni diverse (dopo la prima difesa iniziale
chiamata, come ben sanno gli avvocati, comparsa di costituzione e risposta),
una seconda nota in cui vengono articolati i mezzi istruttori e in terza in
cui si va a contrastare i mezzi di prova richiesti ex adverso.
Per non parlare delle difese conclusive scritte, che da due (comparsa
conclusionale e repliche) potrebbero diventare una (le note conclusive) o
addirittura nessuna con la previsione di una semplice discussione orale.
La difesa del medico sarebbe messa allora sotto pressione per i tempi e
anche per i margini di azione.
Vale la pena quindi di dedicare, con un po’ di pazienza, la giusta
attenzione anche consenso informato, che è entrato da tempo ormai a far
parte integrante dell’attività medica vera e propria.
Se ci si abitua poi diventa anche questa una routine purché si
accetti con consapevolezza tale integrazione.
Vediamo se c’è il tempo allora di esaminare qualche patologia in
particolare.
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