Le S.U. modificano il
Modus Procedendi degli Operatori della Giustizia in tema di risarcimento
del danno alla persona
Intervento dell'Avv.
Dario De Landro al IV master Post-Universitario di Formazione e
Aggiornamento Professionale del 20 febbraio 2009.
Vado qui a trattare un argomento sicuramente
alla attenzione di tutti noi già ormai da un po', ma su cui non si finirà di
discutere certo presto e che, per questo, ci terrà sempre interessati.
Mi intratterrò sempre in tema di
responsabilità e di danno, ma non strettamente sull'argomento odierno del
Master e cioè del consenso informato, trattato solo incidentaliter
più che principaliter.
Ho sentito, difatti,
l'esigenza di ragionare con Voi della ricaduta sul piano pratico, sulla
nostra attività professionale, delle quattro sentenze gemelle pubblicate nel
Novembre u.s. e cioè di come, così, LE S.U. HANNO MODIFICATO IL MODUS
PROCEDENDI DEGLI OPERATORI DELLA GIUSTIZIA IN TEMA DI RISARCIMENTO DEL
DANNO ALLA PERSONA.
Ed é questo l'argomento su
cui mi intratterrò appresso con riguardo ovviamente agli aspetti del danno
non patrimoniale, maggiormente toccati dalle pronunzie in questione
Collocata, quindi, la
discussione nell'alveo di un tal pragmatico taglio, spero di catturare la
Vs. residua attenzione.
Vorrò, quindi, accendere il
dibattito sul come, a seguito della sentenza delle S.U. dell'11 Novembre
scorso, debba cambiare l'atteggiamento degli Avvocati e dei medici, in
particolare dei medici legali, nell'approccio alle problematiche sul danno,
in particolare da responsabilità professionale medica. Si è parlato in
questo master della responsabilità dell'oncologo e dell'ortopedico e
poi si parlerà di quella del chirurgo plastico.
Avrete letto e riletto
tutti la sentenza pilota delle quattro decisioni in questione, la n.
26972/08, ne avrete già molto discusso e sicuramente Vi sarete posti il
quesito da me introdotto su come dovrà cambiare, come è già cambiato,
l'approccio professionale tanto dei giurisperiti che dei medici legali, ma
scendere ancora di più, in questa sede, sul terreno pratico, penso che non
guasti e non ci annoi.
Anche i medici di altre
branche che non siano quelle della medicina legale hanno peraltro la
necessità di conoscere questi assestamenti giurisprudenziali.
Le quattro sentenze gemelle
delle S.U., difatti, modificando alquanto, anche se non stravolgendo, come
vedremo, l'assetto giurisprudenziale formatosi sin qui in tema di danno alla
persona di natura non patrimoniale di conseguenza impongono l'adeguamento ai
principi contenuti nella stessa, anche da parte degli operatori della
giustizia (avvocati, consulenti tecnici medico- legali e ovviamente anche
magistrati), alla prese appunto con problematiche di tal tipo di danno.
L'effetto delle sentenze in
questione, si sentirà ovviamente anche nei procedimenti già pendenti, ove,
da parte di noi tutti si erano ovviamente seguiti gli orientamenti
precedenti.
E magari potremmo trovarci
spiazzati!
Ma cercheremo di recuperare
il bandolo anche in questi casi seguendo il mutato, cennato, orientamento,
non essenzialmente configgente con quello precedente quanto, piuttosto, solo
modificativo sotto il profilo dottrinario e degli istituti de quibus.
E' comunque doveroso e
necessario, per chi voglia continuare ad occuparsi di casi di richieste di
risarcimento del danno alla persona, approfondire l’esame delle recenti
sentenze cennate, perché l'impatto con il nuovo orientamento delle S.U. è
stato immediato e già ovviamente ci sono state pronunzie sullo stesso tema,
anche della Cassazione stessa.
Per semplificare, quando
parlerò di sentenza, mi riferirò a quella, cennata, cosiddetta pilota,
a quella emessa per prima, per intenderci a quella a n° R.G. più basso,
il 26972 (le altre essendo quelle coi numeri finali di R.G. 3, 4, e 5), che
è quella contro la A.S.L. di Vicenza per il caso di un intervento
chirurgico, in seno ad uno dei suoi presìdi praticato e mal riuscito al
punto che, dopo alquanto tempo, il paziente aveva dovuto subire un nuovo
intervento, demolitivo.
Poiché, come dicevo, il mio
modestissimo contributo vorrebbe essere pragmaticamente indirizzato
prevalentemente ad una riflessione su come gli avvocati e i consulenti
medici dovranno rivedere d'ora in poi il loro modus operandi nella
materia (tenendo in conto, di come si atteggeranno i magistrati alla luce
della sentenza delle S.U.), andrò ad esaminare con Voi quelle parti della
sentenza che maggiormente hanno incidenza proprio sul nostro modus
procedendi, con particolare riferimento, pure dicevo, alla
responsabilità del medico.
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Debbo dire che, sicuramente
per mia limitatezza, ho trovato la sentenza molto complessa nella sua
architettura, nel suo impianto e (forse) ripetitiva.
D'altronde ha la pretesa di
essere quasi una summa, in tema pressocchè di tutti i tipi di danno
alla persona.
Il che, se da un lato
realizza un progetto encomiabile di quasi un Testo Unico giurisprudenziale
allo stato dell'arte, dall'altro si espone, ovviamente, al rischio di non
essere sempre compresa, almeno dai "meno dotati", come me.
Comunque mi pare non
potersi revocare in dubbio che la sentenza ritorni più volte su medesimi
concetti risultando, se non altro, alla fine, di non facile lettura e di
difficile memorizzazione di tutti i suoi assunti.
Al lettore disattento
potrebbe, poi, ingenerare una percezione errata e cioè l'eliminazione
tout court di quelle voci di danno sin qui nomenclate come danno
esistenziale, danno estetico e addirittura del "vecchio" danno morale.
Invece, tali poste di danno
non sono state oggetto di colpo di spugna, come da alcuni, anche operatori
di giustizia, ho sentito dire.
Gli avvocati e i medici
legali dovranno essere coscienti che la pronunzia in esame contiene invece
una senz’altro diversa, ma rinvigorita prospettazione di tali voci.
Le compagnie assicuratrici
dovranno farsene una ragione visto che già talune di esse – non le migliori
però - hanno cominciato a non riconoscere in sede transattiva, ad esempio
addirittura il danno morale.
Con questo sono giunto
quindi a focalizzare uno dei punti su cui dovremo aumentare la nostra
attenzione, di professionisti del settore.
E’ scritto da qualche parte
che evidentemente la nostra attività professionale (ma invero anche quello
dei magistrati che dovranno riscrivere gli archetipi delle motivazioni delle
loro sentenze) debba essere sempre, come si dice, “in salita”.
Ciò è frutto, d’altronde,
della frenetica evoluzione cui assistiamo da ultimo, dopo gli anni di stasi
di alcuni decenni orsono, tanto del diritto sostanziale che di quello
processuale e conseguentemente della giurisprudenza, che, volendo vedere
l’altro rovescio della medaglia, ci stimola a starle dietro e a non
appiattirci intellettivamente e professionalmente.
Ci saranno così maggiori
riconoscimenti solo per i professionisti più aggiornati.
Una precisazione si impone,
però, ed è che la stessa effettivamente fa piazza pulita di alcuni tipi di
danno.
Era proliferato, specie in
certe sentenze di Giudice di Pace, il riconoscimento di certi risarcimenti
secondari a semplici fastidi più che a danni, già definiti da taluni, con
malcelato spregio, “danni bagatellari”, quale potevano essere quelli da
nervosismo ingenerato da un lieve ritardo nella partenza di un aeromobile o
il disappunto di una signora per la rottura del tacco a spillo di una scarpa
che sosteneva non essere stato ben realizzato o quello per un errato taglio
di capelli.
La sentenza che esaminiamo,
escludendo il diritto alla felicità (qui, invero, non credo trovando tutti
d’accordo), ha però giustamente invocato l’obbligo ad una certa
tollerabilità riguardo ad eventi come quelli sopra (riportati a mo’ di
esempio) tanto minimali quanto probabilmente inevitabili e generatori semmai
solo di riparazione sotto il profilo patrimoniale, ma giammai più sotto il
profilo non patrimoniale.
Ciò premesso passiamo ad
esaminare gli altri assetti dati dalla sentenza, al risarcimento del danno
non patrimoniale.
Estremamente sintetizzando,
non interessandoci in questa sede, in ossequio a quello spirito pragmatico,
che ci siamo dati all’inizio, di approfondire oltre l’esegesi della
sentenza, possiamo dire che, effettuando una inversione di tendenza rispetto
all’ultimo, maggioritario, orientamento, questa, nell’affermare che le
categorie di danno sono solo due (danno patrimoniale e danno non
patrimoniale), ha negato dignità di categorie autonome, ontologicamente
distinte tra esse, ai danni esistenziale, morale, sessuale ed estetico (per
quest’ultimo invero l’orientamento ultimo già era quello di valutarlo nel
coacervo del danno biologico).
Non vi possono essere,
dicono le Sezioni Unite, duplicazioni di voci di danno.
Addirittura il Supremo
Consesso ha negato che quelli prima così nomenclati (danno esistenziale,
morale ecc.) possano essere anche solo sottocategorie.
Peraltro una simile
affermazione può creare un po’ di confusione e qualche commento, che ho
sentito, taccia invero di esagerazione questo ultimo assioma. Su questo
tornerò fra poco.
La pronuncia esaminata,
però, intende sicuramente, con ciò, che non vi possono essere, appunto,
categorie di danno areddituali distinte dal danno non patrimoniale (che è il
tipo di danno di cui discutiamo) né sottocategorie all’interno di quest’ultimo.
Ma non intende che,
all’interno dell’unica categoria del “danno non patrimoniale” non vi possano
essere “aspetti” di quest’ultimo – quali possono essere il pregiudizio
esistenziale, sessuale, estetico e morale –a valutarsi, ove ne ricorrano le
ipotesi, se del caso anche in sinergismo e aggiungerei anche in sinergismo
peggiorativo, tra loro e comunque quali singole componenti della unica
categoria in questione del danno non patrimoniale.
Su quest’ultimo aspetto, la
pur prolissa sentenza è forse ancora carente di incisività se è vero come è
vero che ha lasciato corpo, come dicevo e come mi consta direttamente, ad
interpretazioni “disattente” quanto non appunto a speculazioni, che vanno in
senso contrario al reale senso delle motivazioni della pronunzia esaminata.
Invece, ripeto, la
possibilità di cumulo di “aspetti” del danno non patrimoniale è
obiettivamente lasciata intatta.
Le S.U. peraltro neppure
escludono che, per comodità, possano essere continuati a nomenclare (ma
semplicemente a nomenclare) anche come danno – sembra quasi dire, però:
se non lo fate è meglio! – i pregiudizi come quelli esistenziale,
estetico, morale e sessuale.
Sembrerebbe, quindi,
sostanzialmente, come si vede, quasi, ma non è proprio così, di una mera
rinomenclatura (pregiudizio in luogo di danno) e di un richiamo ad un rigore
dottrinario, che concepisce il solo genus del danno non patrimoniale
ferma la possibilità, come detto già, all’interno di esso, dell’esistenza ed
incidenza di vari aspetti, che abbiamo pure detto, purché tali aspetti non
siano un de minimis cioè danni cosiddetti“bagatellari”.
La possibilità del
riconoscimento di aspetti del danno non patrimoniale i più ampi, è anzi
esaltata dalla interpretazione definita “costituzionalmente orientata”
dell’art. 2059 c.c., che, secondo la sentenza, non pone neppure un limite
tassativo alla risarcibilità nella annoverabilità del caso specifico entro
le ipotesi previste della legge.
La sentenza così ammonisce
che quando ci sia una lesione grave di diritti costituzionalmente
tutelati (come ad esempio del diritto alla salute) e quindi un pregiudizio
serio e meritevole appunto di tutela, la risarcibilità debba essere del pari
assicurata.
Bisogna però che sia
superato il livello di normale tollerabilità e che il pregiudizio non sia
futile, bensì, come dicevo, apprezzabile.
Ciò (e quindi la misura
della gravità), deve essere accertato dal Giudice.
Entrambi i requisiti
(tollerabilità, rectius intollerabilità e pregiudizio grave) sono,
poi, concetti “dinamici”, ci dice la sentenza.
Vanno considerati, in quel
particolare momento storico e quindi possono essere suscettibili di
variazione nel tempo.
E qui noi operatori del
diritto potremo via via sollecitare aperture verso nuove ipotesi
risarcitorie, in virtù appunto del detto dinamismo e penso oggi, ad esempio,
a quelle da stolking dopo il mobbing ed il bossing!
La sentenza, alla luce di
quella “lettura costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c. di cui
dicevo prima, ammette ancora la risarcibilità dei danni non patrimoniali
anche nei casi in cui l’inadempimento è di natura contrattuale oltre che in
quello in cui è di natura extra contrattuale.
E al riguardo essa si
intrattiene proprio sui “contratti di protezione”, come quelli del settore
sanitario, anche pubblico, col “contratto sociale”.
Quindi ammissibilità del
danno non patrimoniale non solo derivante dal contenuto dell’art. 2043 c.c.
e, quindi, da illecito, ma anche dalla interpretazione costituzionalmente
orientata del 2059 c.c. nelle ipotesi di lesione di un diritto
costituzionalmente protetto, come quello dell’integrità fisica, a seguito di
inadempimento del sanitario.
Ritornando alla generalità
dei casi, quando è la legge a prevedere la tutela dei diritti lesi,
ovviamente non v’è da scandagliare nella lesione di diritti
costituzionalmente tutelati.
E’ qui che, tanto
puntigliosamente quanto analiticamente, la sentenza scende nel dettaglio dei
vari casi di tutela di legge, come ad es. quella apprestata all’interno del
rapporto di lavoro subordinato e quindi quella della previsione contenuta
nell’art. 2087 c.c. (in tema ad es. di misure antinfortunistiche da
approntarsi da parte dal datore di lavoro) includendo i risarcimenti da
lesione alla integrità morale ed altre integrità, su cui neppure insisto,
perché non attinenti alla responsabilità del medico, ma ad altre ipotesi
come quella da circolazione dei veicoli e così via.
Prendiamo atto, allora, di
questa “sistemazione” operata dalle Sezioni Unite sul danno non
patrimoniale, preceduta, invero, da due sentenze, pure richiamate in quella
che qui commentiamo, pure gemelle, di tenore assai simile, sempre del
giudice di legittimità, ma non a S.U. ed aventi n. 8827 e 8828 dell’anno
2003, estese da relatore diverso (il Cons. TRAVAGLINO), ma con Presidente
del Collegio quello stesso Dott. PREDEN relatore delle sentenze delle S.U.
26972/08 e seguenti.
E, quindi, non è affatto
casuale la similitudine fra esse.
Ma notiamo come neanche
prima, in verità, fossero mai esistiti normativamente il danno morale, il
danno biologico, il danno esistenziale e così via.
Esistevano solo
descrittivamente, nessuno pensando che non fossero tutti pregiudizi
rientranti nel danno non patrimoniale e, tutti, in questo ricompresi.
Qualche rara pronuncia
soltanto aveva azzardato l’autonomia ontologica ad es. del danno
esistenziale, per essere poi sconfessata da successive decisioni.
I vari pregiudizi che
abbiamo ricordato, quindi, esistevano descrittivamente come danni prima ed
esisteranno come tali anche dopo la sentenza delle S.U., la quale, come pure
abbiamo già detto, anticipa ciò pacificamente.
Nomenclativamente
esistevano prima ed esisteranno anche dopo la sentenza delle Sezione Unite.
Forse questi pregiudizi – e
con ciò ritorno a parlarne- potevano continuare ad essere considerati
sottocategorie del danno non patrimoniale.
Non li si vuole riconoscere
neppure sottocategorie e allora possibilmente chiamiamoli non più danni, ma
appunto pregiudizi e se proprio ci troviamo a chiamarli ancora danni
aggiungiamoci che ciò facciamo solo appunto nomenclativamente, per facilità
discorsiva!
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Non vedo, come dicevo,
sconquassi o grosse ricadute sul quantum delle liquidazioni, per
intenderci.
Sotto il profilo
dottrinario ovviamente la sentenza non fa una grinza e non ci dobbiamo certo
meravigliare visto che esce dal Consesso il più alto che esiste.
Ritorniamo, quindi, perché
vi ritorna la sentenza, al punto dove la stessa esamina la responsabilità
del medico quale responsabilità anche contrattuale e dice: “nel settore
sanitario gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in
senso ampio, di guisa che l’inadempimento del debitore è suscettivo di
ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non
patrimoniali. La tutela va estesa anche a soggetti terzi a cui si estendono
gli effetti protettivi del contratto, come ai parenti stretti”.
Quindi anche il medico e la
struttura sanitaria, sono responsabili contrattualmente, come è ormai
pacifico da anni e tale responsabilità può essere generatrice di profili
dannosi non patrimoniali.
Tra detti vanno sempre
esclusi i pregiudizi lievi (i danni bagatellari del tipo le ansie
sopportabili, ecc.), ma vanno inclusi i vari pregiudizi gravi, che possono
essere ad es. quelli all’integrità psico-fisica, ivi compresa eventualmente
quella sessuale, estetica o al mutamento dell’assetto della vita (“vecchio”
danno esistenziale), ecc.
Quanto a quest’ultimo ed al
“vecchio” danno morale, anche il nuovo inquadramento vede i relativi
pregiudizi (quindi il pregiudizio esistenziale e pregiudizio morale oppure
sempre danno esistenziale e danno morale, ma come termini meramente
descrittivi) sempre rispettivamente, il secondo come sofferenza psichica
anche solo transeunte ed il primo come lo sconvolgimento vero e proprio
delle abitudini di vita, con alterazione del modo di rapportarsi agli altri,
all’interno e all’esterno della famiglia, nell’ambito della comune vita di
relazione.
E qui la differenza andrà
ben rimarcata da noi operatori sia quali prospettazioni assertive che
negatorie (queste ultime specie nel caso di difese proprio di parti
debitrici medici e/o strutture sanitarie).
Viene, piuttosto,
riconosciuta la risarcibilità di una posta in precedenza quasi sempre negata
quale quella da “danno morale” in capo al soggetto deceduto in conseguenza
del fatto generatore di responsabilità, anche nel caso di decesso avvenuto a
poco tempo dall’evento, a nulla rilevando la brevità del tempo intercorso
tra il fatto e la morte, in virtù, di contro, della tremenda intensità della
sofferenza, nella consapevolezza di star morendo!!
Si passa, quindi, al regime
delle prove del danno prescrivendone l’alligazione, perché viene esclusa la
sussistenza in re ipsa, e questo non trova tanto d’accordo parecchi
operatori.
Questi ultimi ed io invero
fra questi, in punto di pregiudizio morale, fanno questa osservazione.
Come può continuare a
vivere, ad es. un genitore che viene notiziato che il figlio è morto a causa
d’una imperizia o di una negligenza?
Da quel momento la sua vita
può mai continuare serena e senza modifiche?
O il suo vivere sarà, da lì
in poi, un mero sopravvivere?
Quale prova della
sofferenza psichica deve dare costui?
Ma comunque riterrei che
anche in tema di lesioni, invero, il risarcimento del danno, scusate, il
pregiudizio morale, sarà quasi sempre risarcito, specie nei casi di lesioni
non minimali ed allorquando venga accertato l’an debeatur .
Si dice, peraltro, che le
prove possono essere desumibili anche per presunzioni semplici ricavate dal
“fatto noto”, quindi dall’evento, che si assume generatore di
responsabilità, quest’ultimo ovviamente ad allegarsi e provarsi.
La C.T.U., poi, non viene
ritenuta strettamente necessaria quando possa essere supplita da dati di
comune esperienza, come appunto, le presunzioni, (e anche qui, penso che
specie i medici legali avrebbero parecchio da dire!).
Sembra essere questo,
quindi, il quadro giurisprudenziale allo stato attuale e tutti, Magistrati,
Avvocati, Medici legali, operatori sanitari, dovremo confrontarci con questo
assestamento.
Ognuno degli operatori
della giustizia e della sanità (ed ortopedici e chirurghi plastici sono tra
le categorie tra le categorie tra le più esposte a queste problematiche)
saprà regolarsi.
Rapportandomi ancora un
attimo a temi trattati oggi nel corso del master, il consenso il più
informato possibile sui trattamenti medici, sarà ancora più importante di
prima ad evitare rischi, quando non speculazioni con sortite altresì, al
riguardo, per pregiudizi esistenziali o d’altro tipo secondari ad un
consenso tacciato come non completo e puntuale.
Pensiamo a casi disgraziati
quanto denegati addirittura, di morte a seguito delle cure, ove una mancata
previsione quale possibile, quando ovviamente ragionevolmente possibile,
dell’evento morte come conseguenza dei trattamenti clinici apprestandi, nel
documento di prestazione del consenso, potrebbe aprire, ora, s’è detto,
spiragli per profili risarcitori, da parte degli eredi, anche iure
hereditatis per il danno morale in favore del paziente stesso e non solo
iure proprio per il "danno" morale degli eredi. E ciò anche, appunto,
solo in relazione ad un documento di consenso laconico, al riguardo.
Certo, se in letteratura
non è prevista neppure quale remota possibilità di complicanza il decesso,
per il trattamento eseguito, non ci salverà l’averlo previsto quale
conseguenza, ma se è ipotizzato anche come raro, vale la pena, anzi sarà
necessario, informare il paziente, perchè ne tenga conto ai fini
dell’autorizzazione alle cure o meno.
Fatto questa breve sintesi,
parziale, per quanto, si diceva, possa interessarci in questa sede, passiamo
quindi ad ipotizzare come doverci atteggiare.
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Quanto agli avvocati,
dovremo anzitutto mostrare conoscenza della sentenza e dei principi in essa
contenuti.
Se discettiamo di
risarcimento da fatto – reato, lo evidenzieremo ricorrendo ancora all’art.
2043 c.c. e parleremo solo per facilità discorsiva di danni morali.
Inquadreremo, poi, il caso
che ci riguarda, in uno degli archetipi di cui la sentenza parla,
relativamente alla forme risarcitorie garantite dalla legge, se il caso
rientra tra queste.
Quindi, se trattiamo del
caso di un trasportato dovremo intrattenerci seguendo le considerazioni
contenute nella massima sulle responsabilità, per legge, del vettore.
Se trattiamo in una causa
di lavoro di lesioni da inidonee misure di sicurezza nell’ambito dei
rapporti subordinati, ci riferiremo all’art. 2087 c.c. e così via.
Questo lo dico, anche se
non ci riguarda in questa sede, perché, anche in tema di responsabilità
medica, non dobbiamo dimenticare lo schematismo, segnato dalle S.U.
Io sto redigendo i primi
nuovi atti, con la sentenza accanto, considerandone i passi che mi
interessano a seconda dei casi!
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Nei casi non “coperti” da
previsione specifica di legge dovremo invece intrattenerci sulla gravità e
non futilità, o meno del danno e nella individuazione o meno dell’interesse
costituzionale tutelato e che è stato eventualmente leso (es. il diritto
alla salute e all’integrità fisica).
Nel caso della
responsabilità medica, che qui ci interessa, quasi sempre ci troveremo,
quindi, in questa ultima ipotesi.
Se ci intratterremo, in
diritto civile, su di un caso per il quale v’è stata una pronunzia penale di
condanna per lesioni o omicidio colposo, il riferimento al 2043 c.c. sarà,
come dire, automatico, così come pure se è solo configurabile la fattispecie
astrattamente idonea a configurare il reato.
Negli altri casi, anche, ad
esempio, quando v’è stato il proscioglimento del medico e venga comunque
configurata imperizia, imprudenza o negligenza, che possa aver ricadute solo
civilistiche, dovremo tener presente l’interpretazione costituzionalmente
orientata del 2059 c.c. e cioè se, in presenza d’un nesso causale
apprezzabile, non superato dalla previsione del 2236 c.c. (esimente per
particolare difficoltà) vi sia stata o meno la lesione, apprezzabile, di un
diritto costituzionalmente tutelato (ad es. integrità fisica).
Valutaremo, poi, in seno
alla ampia categoria del danno non patrimoniale, l’esistenza o meno delle
distinte compromissioni come il pregiudizio esistenziale o il pregiudizio
estetico o il pregiudizio morale, ecc.
Solleciteremo la
formulazione di idonei, quindi distinti, quesiti a demandarsi al C.T.U., se
il caso di far effettuare la consulenza.
Terremo a mente che le S.U.,
lungi dal far piazza pulita del vecchio danno esistenziale, del vecchio
danno sessuale, del vecchio danno estetico, del vecchio danno morale ecc.,
hanno ammonito che il danno non patrimoniale è un'unica categoria
onnicomprensiva dei diversi eventuali pregiudizi, che, pure, però vanno
esaminati partitamente sia pure se in seno ad esso.
Nel caso di non
soddisfacente od incompleta formulazione dei quesiti insisteremo perchè
questi siano completi, come pure prima facevamo, ma viepiù ora alla luce di
tutto quanto detto e della “parcellizzazione” dei pregiudizi in seno ad
unica categoria in luogo delle distinte voci di danno di cui parlavamo in
precedenza.
Faremo ricorso alle
presunzioni semplici, quando necessario e ci opporremo esplicitamente se il
G.U. non prende definitivamente posizione, su dette presunzioni.
Ritornando ai quesiti, se
il Giudice conferma la denegazione del supplemento dei quesiti richiesti,
ove quelli da lui ipotizzati non ci sembrassero esaustivi e così come
ritenga l’irricorribilità alle presunzioni semplici, ripeteremo la doglianza
per fargli eventualmente riconsiderare il nostro dedotto sui punti in
questione, alle udienze successive nonché in sede di precisazione delle
conclusioni, in modo da non pregiudicarci la possibilità d’un appello per
acquiescenza.
Nella fase antecedente la
formulazione dei quesiti e ancor prima, addirittura prima di iniziare
l’eventuale contenzioso, dovremo dialogare, ancor più di quanto facevamo in
precedenza, col consulente medico legale di fiducia, che dovrà estendere una
consulenza scritta per far emergere o meno (anche a seconda se difendiamo il
creditore o il debitore o presunto tale), tutti gli eventuali tipi di
“pregiudizi”, cioè le vecchie voci di danno, che prima erano considerate
autonome poste risarcitorie come i danni esistenziale, morale, ecc. ecc. e
che ora sono coacervi della grande, onnicomprensiva, categoria del danno non
patrimoniale.
I consulenti medici
legali. Dovranno stimolare anch’essi gli avvocati a proporre i quesiti
più approfonditi.
Se giudicano insufficienti
i quesiti, chiedere direttamente, se C.T.U. o tramite l’avvocato se C.T.P.,
l’integrazione degli stessi, supportando la richiesta magari con
osservazioni, ma sicuramente con richiami puntuali alla documentazione
clinica, cui faranno specifico riferimento suggerendo, anche solo in via
probabilistica, l’esistenza di componenti del danno non patrimoniale che
vadano oltre ovviamente al “vecchio” (come è ormai il caso di dire) danno
biologico in senso stretto, che sarà il primo a considerarsi, come è chiaro,
e che già, a sua volta, era assai vasto prima, nelle sue componenti.
Quindi, per il “vecchio”
danno morale, la possibile esistenza di degenerazioni patologiche, fisiche o
psichiche in conseguenza del fatto noto allegato.
Ove in presenza di
fattispecie di compromissioni sotto l’aspetto sessuale indicarne le cause
come e se in nesso col fatto e descriverne gli effetti, con quantificazione
percentile rispetto al quo ante, cosa a farsi per ogni tipo di
pregiudizio esistente.
Lo stesso, difatti, per il
danno estetico eventuale.
E lo stesso pure per il
vecchio danno esistenziale.
Descrivere e quantificare,
poi, l’eventuale sinergismo peggiorativo fra esse delle varie cennate
componenti del danno non patrimoniale, utilizzando le formule meglio
ritenute tra le diverse esistenti, per calcolarle in cumulo.
Questo perché il
risarcimento dovuto, come dice la sentenza, deve esser completo, con
riguardo a tutti gli effettivi pregiudizi patiti. Quindi, una simile
affermazione, non può far pensare che il nuovo orientamento riservi dei
tagli nei risarcimenti!
Sempre nella redazione dei
loro elaborati, a cui ormai siamo passati, intrattenersi, sempre, come prima
invero, sul nesso causale e rappresentare con chiarezza ed incisività i casi
in cui il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale è secondario a
disposizione di legge o, diversamente e negli altri eventuali casi,
individuare la gravità o meno del pregiudizio e l’interesse specifico leso
sotto il profilo del dettato costituzionale, o meglio sotto quello della
interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.
Insistere, insomma, sulle
differenziazioni delle varie componenti del danno, ove esistenti, al fine di
ottenere quella valutazione “personalizzata” del danno di cui cenna sempre
la sentenza.
Il compito del consulente
sarà così importantissimo e più incisivo, almeno sotto il profilo del
quantum, di quello dell’avvocato stesso, perché questi, almeno negli
atti introduttivi si potrebbe pure limitare (ma non lo farà mai ovviamente),
facilitato dalla onnicomprensività della categoria del danno non
patrimoniale, a chiedere tanto genericamente quanto però ormai
onnicomprensivamente, il risarcimento appunto del “danno non patrimoniale
avuto riguardo ad ogni voce e pregiudizio sia di ordine morale, che
sessuale, che esistenziale, che biologico o quello diverso ritenuto
riconoscendosi la riparazione economica, completa, spettante”.
Sarà interessante
registrare i contributi al riguardo di quanto sopra detto da parte dei
medici legali.
Sin d’ora stimolo questi
ultimi ad una riflessione sul rischio di esami superficiali delle
fattispecie per possibili ritenute contiguità tra i pregiudizi morale,
esistenziale e biologico e, quindi, li stimolo e non ne avrebbero neppure
bisogno, a fare emergere l’esistenza o meno – a seconda sempre dei casi -
dei differenziati profili perniciosi, nei casi nei quali saranno chiamati ad
assistere le parti.
Difatti ricordo a me stesso
che la sentenza ed es. qualifica il pregiudizio di tipo morale come la
sofferenza morale senza valutazione dei più complessi pregiudizi non
patrimoniali.
Il pregiudizio
esistenziale, invece, come abnorme processo degenerativo- patologico
della sofferenza fisica o psichica.
Potremmo incorrere, ripeto,
nel rischio – ma parlo per me – di non prestare una adeguata attenzione al
distinguo necessario e, quindi, incappare in omissione di inserimento
di qualche posta risarcitoria (specie, forse, per il vecchio danno
esistenziale) per considerare solo il vecchio danno biologico in senso
stretto pretermettendo l’evidenza dei pregiudizi relazionali.
Qui il lavoro dei medici
legali dovrà, quindi, dicevo, essere incisivo ed esaustivo ed il rapporto
tra avvocato e medico legale diverrà, come è chiaro e raccomando, sempre più
stretto, per l’aumentata interconnessione ed intersecazione dei campi di
rispettiva azione a quest’ultimo.
Per esser ancora più
chiaro, dovrà spiegare all'avvocato col quale è in coassistenza della
parte, perché questi lo possa esplicitare nei suoi scritti difensivi, donde
si ricavino e quali siano tutte, ma proprio tutte, le eventuali, singole,
degenerazioni incidenti sul complesso del danno non patrimoniale.
E ciò ai fini sempre di un
risarcimento personalizzato ed esaustivo.
Il ritorno alla
personalizzazione del risarcimento mi vede favorevole, perché più aderente
al concetto di risarcimento giusto. Oltrettutto valorizzerà l’attività
difensiva degli avvocati e dei consulenti medici più bravi, prima appiattita
dalle tabelle preconfezionate - per il danno biologico - di cui è stata
ribadita la non necessaria applicazione, anzi tanto implicitamente quanto
malcelatamente criticata anch’essa (e da aliquote percentili – per il danno
morale e altri tipi di danno, anzi, scusate, di pregiudizi–).
Anche i magistrati, anzi
soprattutto loro, dovranno, come dicevo, riscrivere gli archetipi delle loro
motivazioni.
E non devo certo io dire ai
giudicanti cosa dovranno fare.
Piuttosto, dalla
giurisprudenza di merito ci attendiamo non lumi, ma fari potenti, che ci
guidino in concreto sulla strada che condurrà a sua volta all’assestamento
di un assetto dato solo nelle linee generali dalle S.U. e che ci chiarisca
meglio portata ed effetti della pronuncia.
E sarà una bella dialettica
cogli avvocati e i consulenti medici.
Avremo sicuramente materia
per discussioni e per tanti masters !
Spero di avervi un minimo
interessato con queste mie prime considerazioni, mi auguro non tutte errate
e che ho voluto fare, ancora a caldo, vista la relativa recentezza della
pronunzia esaminata, che sarà sicuramente oggetto di ben migliori e
successivi approfondimenti.
Devo dire, però, che nei
primi giorni seguenti al deposito della sentenza ho cercato di isolarmi dai
commenti che fioccavano, poi ne ho sentiti di autorevoli e mi ha confortato
trovarli abbastanza in sintonia col mio pensiero, ma sarò pronto e voglioso
di sentirne di altri.
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