Osservatorio sulla Giurisprudenza in tema
di Responsabilità civile della professione medica
A cura dell'Avv.
Dario De Landro, Consigliere di A.GI.SA., Associazione Giustizia e
Sanità
Questa
rubrica si aprì agli inizi del 2008 facendo, in maniera al momento "leggera"
e senza pretesa di esaustività, un primo punto in tema di assetto
giurisprudenziale sulla responsabilità professionale medica in campo civile.
Ammonivamo che trattava d'una materia, per la verità, in continua
evoluzione, specie da ultimo, per il sempre maggior interesse sull'argomento
e per la superiore consapevolezza dei propri diritti da parte ormai di
chiunque, anche in virtù della superiore diffusione, che oggi esiste, di
ogni informativa e dettaglio su qualsiasi argomento e che la materia della
responsabilità professionale in genere è comunque delicata e va affrontata
con rigore scientifico e correttezza e deontologia assoluta.
Cominciavamo a dare i primi rudimenti infarciti di solo alcune delle più
importanti decisioni giurisprudenziali, riservando al prosieguo, ogni dovuto
approfondimento.
Dicevamo che è ormai Giurisprudenza consolidata che qualsiasi attività
medica ha natura contrattuale e ciò anche per le attività mediche prestate
in strutture pubbliche.
Difatti a nulla rileva che le prestazioni ricevute tramite la sanità
pubblica non siano pagate dal paziente (a parte i casi di attività extra
moenia), in quanto è l’apparato della P.A. (Pubblica Amministrazione)
che provvede al pagamento della spesa sanitaria pubblica mediante i fondi
che le provengono dalle varie imposizioni tributarie pagate dai cittadini.
Si dice, così, che questi ultimi, col pagamento della tasse, imposte e
contributi, realizzino con la Pubblica Amministrazione appunto un contratto,
che viene definito "contratto sociale" e che da diritto a varie prestazioni,
tra cui quello dell'assistenza sanitaria.
Al di la della responsabilità da illecito penale e, quindi,
extracontrattuale, viene sicché in evidenza, nel caso di cattive cure
ricevute, anche l'ipotesi di inadempimento contrattuale.
Ciò ha riverberi importanti al riguardo delle azioni da esperire per il
risarcimento, tra i quali quello del differente termine di prescrizione per
la proponibilità delle domande, che è decennale per la responsabilità
contrattuale e non quinquennale, come per quella extracontrattuale.
Ne deriva pure che l'onere probatorio della parte danneggiata o presunta
tale sia indirizzato anzitutto a provare il contratto.
Di poi, a provare:
1) il danno o il maggior danno
2) il nesso di causalità tra detto danno o detto maggior danno e il
trattamento medico ricevuto.
E' la C.T. (consulenza tecnica) che deve provare dette circostanze, se
esistenti.
Il paziente deve, insomma, provare solo, come ha precisato la Cassazione, in
primis con la sentenza n° 10297/2004: "di aver ricevuto dal clinico e/o
dalla struttura, che è convenuta in giudizio, l'aggravamento della patologia
e/o l'insorgenza di nuova patologia per effetto dell'intervento medico".
Se assolve a tale onere probatorio la giurisprudenza ritiene che non abbia
altro onere.
Difatti, a differenza che in passato, non va più dimostrato che non vi
fossero particolari difficoltà della prestazione medica (c.d. prova
negativa).
Le Sezioni Unite, con sentenza 13533/2001, hanno statuito che compete al
convenuto (il medico) di dare la prova (positiva) dell'esistenza di
particolari difficoltà.
Sul punto, quindi, v'è sostanziale inversione dell'onere della prova e sarà
appunto il medico, che dovrà provare il "fatto estintivo" costituito dal
corretto adempimento e non il (presunto) danneggiato.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Risoluzione del contratto per inadempimento: (inadempimento)
Il creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia
per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della
fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di
scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, su cui
incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito
dall'adempimento.
Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533
PARTI IN CAUSA
Gallo C. Ass. Centro culturale latino americano “El Charango”
FONTE
Foro It., 2002,1, 769, nota di LAGHEZZA
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1218
CC Art. 1453
CC Art. 1460
CC Art. 2697
Una buona consulenza medico- legale, non dovrebbe però esimersi dal fornire
un contributo anche sul punto, per prevenire, per quanto possibile, cause di
giustificazione (esimenti) della responsabilità del medico secondo quanto di
cui all'art. 2236 c.c. e per fornire appunto agli operatori del diritto
(Avvocati, Giudicanti e anche al C.T.U,) il proprio apporto in tema di
particolari difficoltà e, in particolare, dell'eventuale inesistenza di
dette.
Col che appare chiara la riferita, fondamentale, importanza che riveste una
illuminante consulenza medica di parte.
Va ricordato che nei casi di imprudenza o di negligenza (a mente della
sentenza n° 166 del 29 novembre 1973 della Corte Costituzionale) non sarebbe
esimente neppure la particolare difficoltà, ma anche per l'imperizia occorre
aggiungere che la giurisprudenza di legittimità ha quasi sempre, con poche
eccezioni, adottato un criterio molto restrittivo nel riconoscere la
“speciale difficoltà” , richiedendo, il più delle volte, che si tratti di
casi eccezionali, mai incontrati in precedenza e non già risolti alla luce
dei mezzi di cui dispone la moderna medicina, sì che non si possono più
utilmente allegare particolari difficoltà nel cimentarsi in interventi per i
quali, ad esempio, è già previsto un "protocollo".
In relazione al quantum debeatur, poi, i danni d'una certa gravità
richiedono il ricorso ad una metodologia valutativa medico-legale più
aggiornata, il che non è sempre necessario nel caso di danni di modesta
entità.
Dicevamo che le poste dei danni, si riconducono a queste due categorie:
- La prima è: il danno patrimoniale, che è quello che il soggetto
patisce per una diminuzione della sua capacità di produrre reddito, oppure
per il depauperamento diretto, ad esempio, per le spese effettuate.
Una
corrente di pensiero, autorevolissima, diretta dall'Esimio Prof. FIORI,
prima minoritaria e ora maggioritaria, cui aderiamo, ritiene rientrante nel
danno patrimoniale anche la riduzione della capacità lavorativa.
Nella liquidazione del risarcimento del danno, difatti, specie quando non si
tratti di danni cosiddetti micropermanenti (sino al 9% di I.P.) si può e si
dovrebbe tener conto, poi, anche delle qualità soggettive del danneggiato.
Per la verità, anche per le micropermanenti se ne dovrebbe tener conto nei
casi di invalidità specifica.
L'esempio scolastico è della lesione all’udito del 9% o anche meno, patita
da un accordatore di strumenti.
L'aliquota di postumi incidenti sulla capacita lavorativa può essere anche
diversa - e lo è spesso in minus - rispetto a quella da danno
biologico.
Al di là del "danno biologico", ormai, sempre più liquidato con riferimento
a tabelle preconfezionate, se vi è compromissione della capacità lavorativa,
va liquidato, a parte, un risarcimento per detta limitazione della capacità
lavorativa.
In effetti le tabelle del danno biologico cui s'è fatto riferimento, tengono
conto dell'aliquota dei postumi permanenti e dell'età, ma sono indifferenti
al reddito, considerandolo convenzionalmente sempre quale quello della
pensione sociale triplicata.
E' giusto invece che, se, come si diceva, anche la capacità lavorativa venga
compromessa, sia prevista una ulteriore forma risarcitoria, parametrata al
reddito antecedente.
Per completezza va detto, poi, che anche ove il danneggiato non possa
documentare un danno da "specifica", cioè da compromissione della
possibilità di esercitare la specifica attività, in precedenza svolta,
dottrina e giurisprudenza ormai hanno sostenuto comunque la risarcibilità
del danno da compromissione della capacità lavorativa generica.
Diversamente vi sarebbe una discriminazione, ad esempio, per i soggetti
giovani, che non potevano utilmente allegare nessuna specifica attività
lavorativa, la quale invece, ora, viene riconsiderata, più precisamente,
come perdita della capacità lucrativa potenziale o futura, seconda è: il
danno non patrimoniale, che può eventualmente sussistere - ma ciò è più
infrequente - anche nel caso non vi sia danno biologico all'interno di tal
categoria, il pregiudizio esistenziale risiede nelle varie conseguenze
dannose appunto esistenziali del paziente, secondarie al danno
biologico, che siano in nesso causale con le cattive cure ricevute. Dette
conseguenze possono riverberarsi sia nella vita puramente relazionale del
soggetto (con difficoltà nell'espletare attività dinamiche, ginniche, di
puro e semplice relazionamento, ecc.), ma anche nella frustrazione
secondaria alla incapacità di produrre reddito o nel vederne scemate le
possibilità.
Si comprende bene, allora, come una lesione di natura iatrogena debba
trovare riparazione pecuniaria non solo con riferimento al pregiudizio
morale e al danno biologico, ma anche al riguardo del pregiudizio
esistenziale, che genericamente veniva realizzata, sino a poco fa, dai
giudicanti, mediante il cosiddetto "appesantimento" del "valore punto".
Applicando, cioè, un incremento equitativo, al calcolo tabellare.
Con la sentenza n° 2546 del 6/2/2007, richiamando peraltro altri conformi
orientamenti giurisprudenziali, la Corte ha precisato che "il danno
esistenziale è quello comprendente ogni pregiudizio (di natura non meramente
emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile) che alteri le abitudini
e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita
diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel
mondo esterno. Detta non costituisce una componente voce né del danno
biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno".
E' stato quindi individuato come autonoma categoria dogmatica.
La decisione in esame, peraltro, fa riferimento al risarcimento spettante
anche agli stretti congiunti della persona deceduta o gravemente lesa a
causa della illecita condotta altrui, precisando, altresì, che il danno
biologico può essere riconosciuto e liquidato anche in via equitativa solo
qualora sia stata fornita la prova che il decesso (o la grave lesione) abbia
inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi
apprezzabile, permanente, patologia o l'aggravamento di una patologia
preesistente.
Tale
orientamento è stato demolito dalle recenti sentenze 26972/2008 e successive
(ne sono quattro uguali) della S.U. per il cui commento si rinvia
all'intervento dello scrivente riportato pure in questa rubrica.
Infine occorre pure segnalare che appena nell'anno 2004, ancora la
Cassazione (con sentenza n° 4400) ha affermato anche la possibilità di
riconoscimento di perdita di chances, a causa dell’inadempimento colpevole
(con esclusione dell’evento eccezionale), ma con riferimento alla
compromissione di concrete possibilità.
RESPONSABILITA’ CIVILE
Danni
La chance (o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un
determinato bene o risultato), non è una mera aspettativa di fatto, ma
un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente
suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita, (id est la
perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del
quale risulti provata la sussistenza), configura un danno concreto e
attuale.
Tale danno, non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se
correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto e attuale
(perdita di una consistente possibilità di conseguire quei risultato), non
va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di
conseguirlo.
Cass. civ., Sez. III, 04/03/2004, n. 4400
PARTI IN CAUSA
Bellasio e altri C. Gestione Liquidatoria Usl 68 Rho
FONTE
Guida al Diritto, 2004, 16, 56
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1176
CC Art. 1226
CC Art. 1375
CC Art. 2043
Si
ritiene che anche tal danno possa rientrare nella categoria del danno
patrimoniale.
Anticipavo che non sarebbero mancate occasioni di aggiornare via via questa
rubrica segnalando le evoluzioni giurisprudenziali al riguardo di questa
materia, come si diceva, di crescente interesse ed in notevole "fermento".
E difatti, come si diceva, le S.U. con le cennate sentenze, quadri gemelle
26972/2008 e seguenti, hanno alimentato come non mai il dibattito.
Andate a leggere allora il partito, riferito mio commento, in questa stessa
rubrica.
Aggiornamento del Febbraio
2009 all’articolo del Febbraio 2008
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