COMUNICATO URGENTE

In ottemperanza ai decreti emanati “ Misure urgenti a fronte del Covid 19”.
Ad oggi è impossibile stabilire una nuova data per lo svolgimento regolare del master: La nuova giurisprudenza della responsabilità medica – parte speciale – , nonché assicurare il regolare svolgimento della attività associativa

Pertanto la Presidenza della Associazione A.GI.SA ha deciso di rimborsare le quote associative e il contributo versato a tutti coloro che ne faranno richiesta a mezzo mail, indicando con chiarezza il nominativo e l’IBAN a cui indirizzare il rimborso.

Viceversa, per coloro che non richiederanno il rimborso degli importi versati entro il 30 giugno 2020, verrà emessa ricevuta nominativa valida per la partecipazione del master non appena ne sarà consentito lo svolgimento.

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Ordinamento giuridico e scelte terapeutiche e di “fine vita”
La sentenza “Cappato” e le sue implicazioni

 
 

ROMA, MARTEDI’ 24 NOVEMBRE 2020
Corte Suprema di Cassazione - Aula virtuale TEAMS ore 14.30

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Osservatorio sulla Giurisprudenza in tema di Responsabilità civile della professione medica

 

A cura dell'Avv. Dario De Landro, Consigliere di A.GI.SA., Associazione Giustizia e Sanità

 

Questa rubrica si aprì agli inizi del 2008 facendo, in maniera al momento "leggera" e senza pretesa di esaustività, un primo punto in tema di assetto giurisprudenziale sulla responsabilità professionale medica in campo civile.
Ammonivamo che trattava d'una materia, per la verità, in continua evoluzione, specie da ultimo, per il sempre maggior interesse sull'argomento e per la superiore consapevolezza dei propri diritti da parte ormai di chiunque, anche in virtù della superiore diffusione, che oggi esiste, di ogni informativa e dettaglio su qualsiasi argomento e che la materia della responsabilità professionale in genere è comunque delicata e va affrontata con rigore scientifico e correttezza e deontologia assoluta.
Cominciavamo a dare i primi rudimenti infarciti di solo alcune delle più importanti decisioni giurisprudenziali, riservando al prosieguo, ogni dovuto approfondimento.
Dicevamo che è ormai Giurisprudenza consolidata che qualsiasi attività medica ha natura contrattuale e ciò anche per le attività mediche prestate in strutture pubbliche.
Difatti a nulla rileva che le prestazioni ricevute tramite la sanità pubblica non siano pagate dal paziente (a parte i casi di attività extra moenia), in quanto è l’apparato della P.A. (Pubblica Amministrazione) che provvede al pagamento della spesa sanitaria pubblica mediante i fondi che le provengono dalle varie imposizioni tributarie pagate dai cittadini.
Si dice, così, che questi ultimi, col pagamento della tasse, imposte e contributi, realizzino con la Pubblica Amministrazione appunto un contratto, che viene definito "contratto sociale" e che da diritto a varie prestazioni, tra cui quello dell'assistenza sanitaria.
Al di la della responsabilità da illecito penale e, quindi, extracontrattuale, viene sicché in evidenza, nel caso di cattive cure ricevute, anche l'ipotesi di inadempimento contrattuale.
Ciò ha riverberi importanti al riguardo delle azioni da esperire per il risarcimento, tra i quali quello del differente termine di prescrizione per la proponibilità delle domande, che è decennale per la responsabilità contrattuale e non quinquennale, come per quella extracontrattuale.
Ne deriva pure che l'onere probatorio della parte danneggiata o presunta tale sia indirizzato anzitutto a provare il contratto.
Di poi, a provare:
1) il danno o il maggior danno
2) il nesso di causalità tra detto danno o detto maggior danno e il trattamento medico ricevuto.
E' la C.T. (consulenza tecnica) che deve provare dette circostanze, se esistenti.
Il paziente deve, insomma, provare solo, come ha precisato la Cassazione, in primis con la sentenza n° 10297/2004: "di aver ricevuto dal clinico e/o dalla struttura, che è convenuta in giudizio, l'aggravamento della patologia e/o l'insorgenza di nuova patologia per effetto dell'intervento medico".
Se assolve a tale onere probatorio la giurisprudenza ritiene che non abbia altro onere.
Difatti, a differenza che in passato, non va più dimostrato che non vi fossero particolari difficoltà della prestazione medica (c.d. prova negativa).
Le Sezioni Unite, con sentenza 13533/2001, hanno statuito che compete al convenuto (il medico) di dare la prova (positiva) dell'esistenza di particolari difficoltà.
Sul punto, quindi, v'è sostanziale inversione dell'onere della prova e sarà appunto il medico, che dovrà provare il "fatto estintivo" costituito dal corretto adempimento e non il (presunto) danneggiato.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Risoluzione del contratto per inadempimento: (inadempimento)
Il creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, su cui incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento.
Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533
PARTI IN CAUSA
Gallo C. Ass. Centro culturale latino americano “El Charango”
FONTE
Foro It., 2002,1, 769, nota di LAGHEZZA
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1218
CC Art. 1453
CC Art. 1460
CC Art. 2697
Una buona consulenza medico- legale, non dovrebbe però esimersi dal fornire un contributo anche sul punto, per prevenire, per quanto possibile, cause di giustificazione (esimenti) della responsabilità del medico secondo quanto di cui all'art. 2236 c.c. e per fornire appunto agli operatori del diritto (Avvocati, Giudicanti e anche al C.T.U,) il proprio apporto in tema di particolari difficoltà e, in particolare, dell'eventuale inesistenza di dette.
Col che appare chiara la riferita, fondamentale, importanza che riveste una illuminante consulenza medica di parte.
Va ricordato che nei casi di imprudenza o di negligenza (a mente della sentenza n° 166 del 29 novembre 1973 della Corte Costituzionale) non sarebbe esimente neppure la particolare difficoltà, ma anche per l'imperizia occorre aggiungere che la giurisprudenza di legittimità ha quasi sempre, con poche eccezioni, adottato un criterio molto restrittivo nel riconoscere la “speciale difficoltà” , richiedendo, il più delle volte, che si tratti di casi eccezionali, mai incontrati in precedenza e non già risolti alla luce dei mezzi di cui dispone la moderna medicina, sì che non si possono più utilmente allegare particolari difficoltà nel cimentarsi in interventi per i quali, ad esempio, è già previsto un "protocollo".
In relazione al quantum debeatur, poi, i danni d'una certa gravità richiedono il ricorso ad una metodologia valutativa medico-legale più aggiornata, il che non è sempre necessario nel caso di danni di modesta entità.
Dicevamo che le poste dei danni, si riconducono a queste due categorie:
- La prima è: il danno patrimoniale, che è quello che il soggetto patisce per una diminuzione della sua capacità di produrre reddito, oppure per il depauperamento diretto, ad esempio, per le spese effettuate.

Una corrente di pensiero, autorevolissima, diretta dall'Esimio Prof. FIORI, prima minoritaria e ora maggioritaria, cui aderiamo, ritiene rientrante nel danno patrimoniale anche la riduzione della capacità lavorativa.
Nella liquidazione del risarcimento del danno, difatti, specie quando non si tratti di danni cosiddetti micropermanenti (sino al 9% di I.P.) si può e si dovrebbe tener conto, poi,  anche delle qualità soggettive del danneggiato.
Per la verità, anche per le micropermanenti se ne dovrebbe tener conto nei casi di invalidità specifica.
L'esempio scolastico è della lesione all’udito del 9% o anche meno, patita da un accordatore di strumenti.
L'aliquota di postumi incidenti sulla capacita lavorativa può essere anche diversa - e lo è spesso in minus - rispetto a quella da danno biologico.
Al di là del "danno biologico", ormai, sempre più liquidato con riferimento a tabelle preconfezionate, se vi è compromissione della capacità lavorativa, va liquidato, a parte, un risarcimento per detta limitazione della capacità lavorativa.
In effetti le tabelle del danno biologico cui s'è fatto riferimento, tengono conto dell'aliquota dei postumi permanenti e dell'età, ma sono indifferenti al reddito, considerandolo convenzionalmente sempre quale quello della pensione sociale triplicata.
E' giusto invece che, se, come si diceva, anche la capacità lavorativa venga compromessa, sia prevista una ulteriore forma risarcitoria, parametrata al reddito antecedente.
Per completezza va detto, poi, che anche ove il danneggiato non possa documentare un danno da "specifica", cioè da compromissione della possibilità di esercitare la specifica attività, in precedenza svolta, dottrina e giurisprudenza ormai hanno sostenuto comunque la risarcibilità del danno da compromissione della capacità lavorativa generica.
Diversamente vi sarebbe una discriminazione, ad esempio, per i soggetti giovani, che non potevano utilmente allegare nessuna specifica attività lavorativa, la quale invece, ora, viene riconsiderata, più precisamente, come perdita della capacità lucrativa potenziale o futura, seconda è: il danno non patrimoniale, che può eventualmente sussistere - ma ciò è più infrequente - anche nel caso non vi sia danno biologico all'interno di tal categoria, il pregiudizio esistenziale risiede nelle varie conseguenze dannose appunto esistenziali del paziente, secondarie al danno biologico, che siano in nesso causale con le cattive cure ricevute. Dette conseguenze possono riverberarsi sia nella vita puramente relazionale del soggetto (con difficoltà nell'espletare attività dinamiche, ginniche, di puro e semplice relazionamento, ecc.), ma anche nella frustrazione secondaria alla incapacità di produrre reddito o nel vederne scemate le possibilità.
Si comprende bene, allora, come una lesione di natura iatrogena debba trovare riparazione pecuniaria non solo con riferimento al pregiudizio morale e al danno biologico, ma anche al riguardo del pregiudizio esistenziale, che genericamente veniva realizzata, sino a poco fa, dai giudicanti, mediante il cosiddetto "appesantimento" del "valore punto". Applicando, cioè, un incremento equitativo, al calcolo tabellare.
Con la sentenza n° 2546 del 6/2/2007, richiamando peraltro altri conformi orientamenti giurisprudenziali, la Corte ha precisato che "il danno esistenziale è quello comprendente ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Detta non costituisce una componente voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno".
E' stato quindi individuato come autonoma categoria dogmatica.
La decisione in esame, peraltro, fa riferimento al risarcimento spettante anche agli stretti congiunti della persona deceduta o gravemente lesa a causa della illecita condotta altrui, precisando, altresì, che il danno biologico può essere riconosciuto e liquidato anche in via equitativa solo qualora sia stata fornita la prova che il decesso (o la grave lesione) abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile, permanente, patologia o l'aggravamento di una patologia preesistente.

Tale orientamento è stato demolito dalle recenti sentenze 26972/2008 e successive (ne sono quattro uguali) della S.U. per il cui commento si rinvia all'intervento dello scrivente riportato pure in questa rubrica.
Infine occorre pure segnalare che appena nell'anno 2004, ancora la Cassazione (con sentenza n° 4400) ha affermato anche la possibilità di riconoscimento di perdita di chances, a causa dell’inadempimento colpevole (con esclusione dell’evento eccezionale), ma con riferimento alla compromissione di concrete possibilità.
RESPONSABILITA’ CIVILE
Danni
La chance (o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato), non è una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, onde la sua perdita, (id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza), configura un danno concreto e attuale.
Tale danno, non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto e attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quei risultato), non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.
Cass. civ., Sez. III, 04/03/2004, n. 4400
PARTI IN CAUSA
Bellasio e altri C. Gestione Liquidatoria Usl 68 Rho
FONTE
Guida al Diritto, 2004, 16, 56
RIFERIMENTI NORMATIVI
CC Art. 1176
CC Art. 1226
CC Art. 1375
CC Art. 2043

Si ritiene che anche tal danno possa rientrare nella categoria del danno patrimoniale.
Anticipavo che non sarebbero mancate occasioni di aggiornare via via questa rubrica segnalando le evoluzioni giurisprudenziali al riguardo di questa materia, come si diceva, di crescente interesse ed in notevole "fermento".
E difatti, come si diceva, le S.U. con le cennate sentenze, quadri gemelle 26972/2008 e seguenti, hanno alimentato come non mai il dibattito.
Andate a leggere allora il partito, riferito mio commento, in questa stessa rubrica.

Aggiornamento del Febbraio 2009 all’articolo del Febbraio 2008

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